Crisi. Presidio di 150 lavoratori ieri mattina allo stabilimento di Cassina de’ Pecchi per scongiurare la chiusura
Già da luglio scorso, sono 350 i lavoratori della Jabil che presidiano lo stabilimento di Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, per scongiurarne lo smantellamento e per evitare che vengano rimossi i macchinari e i materiali. Si tratta di un’azienda di apparati a microonde per l’accesso a reti fisse e mobili, venduta a Competence e riacquistata dalla multinazionale americana. Al presidio, organizzato ieri mattina, ad accompagnare i 150 operai c’era anche una folta rappresentanza di lavoratori della Nokia Siemens Networks.
«Nokia Siemens, che garantisce l’80% del fatturato di Jabil nel settore dei ponti radio, è da poco venuta a sapere che si pensa anche a una sua possibile cessione - spiega Marcello Scipioni della segreteria Fiom della Cgil di Milano - Se si aprisse anche per lei una questione di smantellamento, altri 100 lavoratori rischierebbero di trovarsi senza un’occupazione». Con il presidio i lavoratori hanno voluto lanciare l’ultimo grido di allarme, dato che oggi a Roma ci sarà un incontro al ministero dello Sviluppo Economico e i proprietari di Jabil dovranno comunicare i loro progetti sugli stabilimenti di Cassina e Marcianise. Il contributo del “governo lombardo” in questi mesi non è andato oltre le promesse di costruire un tavolo di trattativa con i committenti e con le istituzioni locali.
«Un nervo nella questione rimane ancora scoperto: manca totalmente nella risoluzione della questione la sponda istituzionale – continua Scipioni - Questo polo tecnologico per noi va assolutamente preservato: qui si tratta del futuro di generazioni. Come è stato anche nel passato, questa che è stata l’azienda più importante di Cassina rischia oggi di svanire dal punto di vista della ricerca e della produzione. È da tempo che chiediamo l’intervento della Regione che ha a disposizione i fondi per implementare la rete della banda larga, di cui questa azienda è un polo strategico. Insisteremo in questa come in altre aziende del settore per tutelare i migliaia di posti che sono a rischio» conclude. Una soluzione rinviata da troppo tempo, di cui nessuno vuole farsi carico; i lavoratori, già fortemente ridimensionati nel loro lavoro per una turnistica e una cassa integrazione in deroga che non offre spunti di ottimismo, rischiano di rimanere senza occupazione, con le produzioni trasferite all’estero.
Silvia Morosi
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